Francesca aveva un immobile in comproprietà con i suoi quattro fratelli. Anni prima lo avevano ereditato dai genitori e da allora ne erano proprietari per un quinto ciascuno. Gestirlo insieme era difficile e ora avevano un problema. Emanuele – il minore dei cinque – aveva dato in affitto l’appartamento senza dire nulla agli altri; lo aveva concesso in locazione ad uso abitativo per una durata di quattro anni.
Appresa la notizia, Francesca si era trovata comunque d’accordo con questa decisione. Con il canone di locazione, infatti, avrebbero potuto pagare l’IMU e le altre spese dell’appartamento; sarebbe avanzata anche una rendita da dividere. Francesca aveva però un dubbio; cosa sarebbe successo se gli altri tre fratelli fossero stati contrari alla locazione? I dissenzienti avrebbero potuto ottenere lo scioglimento del contratto?
La gestione dell’immobile in comproprietà: gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione
Per rispondere a queste domande, bisogna vedere come la legge regola l’amministrazione dei beni in comunione.
L’art. 1105 del codice civile stabilisce che tutti i comproprietari hanno diritto di partecipare alle decisioni riguardanti l’amministrazione della cosa comune. Queste decisioni vengono assunte a maggioranza oppure all’unanimità. La maggioranza si calcola in base al valore delle quote dei comproprietari (non in base al numero dei votanti).
Per gli atti di ordinaria amministrazione è sufficiente la maggioranza semplice del valore complessivo delle quote. Per quelli di straordinaria amministrazione è necessaria la maggioranza dei due terzi. L’unanimità è infine necessaria per:
- la vendita del bene comune;
- la costituzione di un diritto reale su di esso (usufrutto, servitù, ecc…);
- la locazione di durata superiore a nove anni.
La locazione ad uso abitativo dell’immobile in comproprietà: un atto di ordinaria amministrazione
In base alle regole sopra ricordate, si può subito giungere ad una prima conclusione; la decisone di concedere in locazione l’immobile in comproprietà ad uso abitativo – per una durata quindi di quattro anni – non necessita del consenso di tutti i comproprietari. Solo le locazioni di durata superiore ai nove anni richiedono l’unanimità.
Per il contratto di locazione ad uso abitativo – come quello stipulato da Emanuele – è quindi sufficiente una decisione a maggioranza; ma questa può essere semplice oppure deve essere dei due terzi? Per capirlo bisogna vedere se la stipulazione di questo contratto rientra nell’ordinaria o nella straordinaria amministrazione. Nel primo caso, sarebbe sufficiente la maggioranza semplice; nel secondo, sarebbe necessaria quella dei due terzi.
La giurisprudenza ha stabilito che la stipulazione di un contratto di locazione di durata inferiore ai nove anni è un atto di ordinaria amministrazione. Ciò significa che la maggioranza semplice è sufficiente non solo per le locazioni di immobili ad uso abitativo, ma anche per quelle di immobili ad uso commerciale, professionale e industriale; le prime, infatti, hanno durata di quattro anni, mentre queste ultime hanno durata di sei anni.
Di conseguenza, se Emanuele avesse coinvolto la sorella e i fratelli nella decisione relativa alla locazione dell’immobile comune, sarebbe bastato il voto favorevole di 3 fratelli su 5. Emanuele, però, ha stipulato il contratto senza dire nulla agli altri; non coinvolgendoli nella decisione, ha violato un loro diritto. Questa violazione può causare lo scioglimento del contratto?
La validità del contratto di locazione stipulato dal singolo comproprietario all’insaputa degli altri
I Giudici hanno risolto questo problema in modo pragmatico. La Corte di Cassazione ha, infatti, più volte espresso il principio secondo il quale sugli immobili in comproprietà concorrono pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari. Quando uno di essi compie atti di ordinaria amministrazione, si presume che egli agisca con il consenso degli altri. Il singolo comproprietario può quindi stipulare il contratto di locazione dell’immobile in comunione, purché non risulti l’espressa e insuperabile volontà contraria degli altri.
In questo modo, la circolazione del bene comune è più semplice e viene tutelato l’affidamento dei terzi contraenti. Il conduttore di un immobile intestato a più comproprietari, infatti, se stipula il contratto con uno solo di essi, in mancanza di espresso dissenso degli altri, presume che vi sia il loro consenso. Egli fa quindi affidamento sulla validità del contratto.
Il contratto di locazione stipulato da Emanuele è, quindi, valido ed efficace. Il successivo consenso o dissenso di Francesca e degli altri fratelli è del tutto ininfluente sulla sua validità. Il conduttore potrà, quindi, continuare a godere dell’immobile per tutta la durata della locazione.
I diritti degli altri comproprietari
Ma in tal caso, Francesca e gli altri fratelli, possono trarre qualche vantaggio dalla situazione?
In base all’art. 1101 del codice civile, ciascuno dei comproprietari concorre non solo nelle spese, ma anche nei vantaggi della cosa comune, in misura proporzionale alla propria quota. Emanuele è quindi tenuto a dividere il canone di locazione con la sorella e gli altri fratelli in parti uguali.
La Corte di Cassazione (Cass. S.U. n. 11135 del 4/7/2012) ha inoltre previsto un’ulteriore possibilità a tutela degli altri comproprietari. Essi, una volta venuti a conoscenza della locazione, possono ratificare il contratto. In questo modo, potranno riscuotere direttamente dal conduttore la loro quota del canone di locazione.
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Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Libero nel blog I consigli di un civilista.