Il settore della locazione degli immobili urbani ha inevitabilmente risentito degli avvenimenti eccezionali avvenuti in questi ultimi mesi. La situazione di emergenza sanitaria causata dalla diffusione del Coronavirus ha infatti avuto un impatto notevole sui rapporti commerciali, causando una profonda crisi economica nel paese.
Molte imprese, infatti, sono state costrette a sospendere la propria attività durante il periodo di lockdown. Esse, inoltre, nonostante la riapertura, si sono poi trovate ad operare tra un’infinità di ostacoli e condizionamenti derivanti dall’emergenza sanitaria. Le varie attività infatti devono spesso funzionare “a regime ridotto” a causa delle norme sul distanziamento sociale; si pensi, ad esempio, ai bar, ai ristoranti, agli alberghi e, in generale, a tutte le attività del settore turistico.
La chiusura dell’attività economica del conduttore a causa del lockdown e le limitazioni alle quali la stessa è stata successivamente sottoposta nonostante la riapertura hanno causato una inevitabile contrazione del suo fatturato.
Questa riduzione degli incassi ha spesso creato uno squilibrio nei rapporti tra conduttore e locatore: il primo, se non è più in grado di sostenere le spese del canone di locazione, avrebbe interesse a sciogliere il contratto, mentre il secondo vorrebbe continuare a mantenerlo.
Il recesso del conduttore
In tale situazione, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 27 della legge sull’equo canone (L. 392/1978). Questa norma, infatti, gli consente, qualora ricorrano gravi motivi, di recedere in qualsiasi momento dal contratto; in tal caso, il conduttore dovrebbe comunicare il recesso al locatore con un preavviso di almeno sei mesi con lettera raccomandata.
La chiusura forzata dell’attività del conduttore e le altre conseguenze dell’emergenza sanitaria, che abbiano determinato una diminuzione del suo volume d’affari, potrebbero essere motivi sufficientemente gravi, tali da giustificare un suo recesso dal contratto.
Questa norma, tuttavia, poiché impone un preavviso di almeno sei mesi, in molti casi potrebbe non essere adeguata a rispondere alle esigenze di molti imprenditori; questi, infatti, avrebbero necessità di sciogliere immediatamente il vincolo contrattuale, per non dover continuare a sostenere un canone ormai divenuto eccessivamente oneroso.
La risoluzione del contratto di locazione per eccessiva onerosità sopravvenuta
In alcuni casi, questi imprenditori potrebbero avvalersi dell’art. 1467 del codice civile, il cui primo comma prevede la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta.
Questa norma, infatti, stabilisce che “nei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto.”
Ciò significa che,
qualora, a causa di un avvenimento straordinario e imprevedibile come la pandemia da Covid-19, il pagamento del canone di locazione sia divenuto eccessivamente oneroso rispetto all’effettivo godimento dell’immobile, il conduttore potrebbe chiedere la risoluzione del contratto, senza alcun obbligo di preavviso.
Gli elementi che consentirebbero l’applicazione di questa norma alle locazioni di immobili ad uso commerciale sono due:
- l’eccessiva onerosità del canone, sopravvenuta nel corso della locazione, cioè dopo la stipulazione del contratto;
- uno o più eventi straordinari, che abbiano causato l’eccessiva onerosità e che non erano prevedibili al momento della stipulazione del contratto.
Questa norma si può applicare, quindi, soltanto ai contratti stipulati prima del lockdown, cioè in un momento nel quale il verificarsi della pandemia e il conseguente fermo delle attività commerciali non erano in alcun modo prevedibili.
Il conduttore dovrebbe dimostrare che la pandemia e il lockdown hanno causato un consistente calo del proprio volume d’affari; egli dovrebbe, inoltre, provare che il pagamento del canone originariamente pattuito è diventato eccessivamente oneroso rispetto al mancato o limitato godimento dell’immobile.
L’eccessiva onerosità del canone di locazione rispetto al godimento dell’immobile dovrebbe inoltre essere valutata complessivamente. Per fare questa valuazione, bisognerebbe cioè prendere in considerazione non solo il periodo di chiusura dell’attività, ma anche quello successivo di riapertura.
Occorrerà quindi valutare, caso per caso, se l’emergenza sanitaria e i relativi provvedimenti restrittivi abbiano determinato un aggravio patrimoniale per il conduttore. Per la sussistenza dell’eccessiva onerosità non è però sufficiente un qualunque aggravio; quest’ultimo infatti deve essere tale da alterare sostanzialmente l’originario rapporto contrattuale, facendo diminuire o cessare l’utilità della controprestazione offerta dal locatore, cioè il godimento dell’immobile.
La riduzione del canone di locazione
Al verificarsi delle condizioni previste dal primo comma dell’art. 1467 del codice civile, il conduttore può quindi chiedere la risoluzione del contratto.
Il secondo comma dello stesso art. 1467 del codice civile consente tuttavia al locatore di reagire alla richiesta di risoluzione, offrendo al conduttore una possibile soluzione.
Questa norma, infatti, prevede che “la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.”
Ciò significa che,
di fronte alla richiesta di risoluzione del contratto da parte del conduttore, che abbia subito un considerevole calo di fatturato, il locatore potrebbe evitare la risoluzione del contratto, offrendogli una riduzione del canone.
In conclusione, in casi di questo genere la soluzione può essere trovata se le parti intavolano trattative e vanno incontro alle reciproche esigenze; ciò potrebbe avvenire se conduttore e locatore si accordano per una riduzione del canone di locazione.
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Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Libero nel blog “I consigli di un civilista”.
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